Luoghi sacri
LUOGHI SACRI ______________________________Marilù GIANNONE
Che cosa spinge un uomo o un gruppo di uomini a giudicare “sacro” un luogo ? La scelta iniziale può essere un aspetto particolare di un posto, che in qualche modo abbia una fisionomia affine ad un animale o ad un essere umano, come il Circeo ad esempio, cioè la scelta in questo caso ricadrebbe su quell’uso antichissimo di selezionare, di preferire, o anche di respingere un oggetto o un sito “per analogia”, cosa che è rimasta nella medicina omeopatica, riferita proprio all’uso dei semplici per reagire ad una qualsiasi patologia. Naturalmente nel caso di animali bisogna considerare questo lato dal punto di vista simbolico, o riferito ad antichissime memorie preistoriche. (forte come un leone, ecc: gli animali sono l’espressione di qualche qualità presente nell’uomo)
Al di là di questo motivo, la scienza dei nostri tempi ha rilevato che le sensazioni particolari che alcuni posti producono siano da attribuire ad una densità maggiore, rispetto ad altri luoghi, di magnetismo o correnti magnetiche, che nulla hanno a che vedere con la corrente elettrica se non per la qualità di poter attirare ad esse chi è particolarmente sensibile a loro. Sarebbe , in un certo modo, la stessa cosa che avviene per la combustione di un dato oggetto che ha in sé qualità reagenti rispetto al comburente.
Ma un terzo aspetto di questa potenza attrattiva è quello della memoria: così come essa è la fonte ed il mezzo per effettuare una magia, è anche la facoltà di prolungare all’infinito l’esistenza di un gruppo familiare o di un clan: in altri termini, se vicino ad un certo albero è deceduto un parente, è là che ci si recherà per onorarne la memoria e per considerare quel sito come una “porta” passando la quale il caro estinto è uscito dal nostro mondo. Bocca di transito per forze positive come il sole alto nel cielo, al quale l’uomo tende dalla infantile postura sdraiata a quella stante, e per quelle negative, come potevano essere le forze uscenti dalle viscere della terra, vale a dire i fenomeni vulcanici, le caldare, le terme, che agevolavano comunemente, in quanto situate nelle profondità, la perdita del corpo in quanto fisionomia , e sua dissipazione per una trasformazione. Per cui recarsi nel luogo di dipartita di un essere umano, tanto più se dotato di facoltà di prim’ordine, voleva dire prolungare la memoria eroica di un clan ed il raccogliersi progressivo in un punto di evocazioni e preghiere compiute dai parenti rimasti e successori.
Evocare vuol dire chiamare fuori, ma anche provocare una risposta ad un’invocazione, suscitare allora una presenza per una risposta. Considerare tutti i luoghi sacri, anche solo europei, sarebbe come comporre un elenco infinito e noioso, e la stessa cosa si può dire per quello romani o laziali, perché l’Italia è ricchissima di queste pietre miliari della spiritualità, ci si limita qui allora a citarne un paio per così dire insoliti.
Antrodoco non è un paese insolito, è una bellissima piccola località arroccata sui fianchi dell’Appennino che divide il Lazio dall’Abruzzo. La zona è accidentata, ricca di forre, di acque, di parti scoscese e dirupate, fecondissima, con molte vestigia di antiche civiltà appenniniche, vale a dire le frange meridionali della grande civiltà danubiana, comuni qui a quella che volta al versante abruzzese della dorsale montuosa. In questo luogo era sacro il serpente, animale sacro che rappresentava il movimento verso l’alto di un essere vivente ed insieme l’energia benefica che collegava come principio d’unione la terra ed il cielo, ed il contrario, disgregante, se intesa come principio di distacco fra il cielo e la terra.
Dominare l’energia simboleggiata dal serpente, ce lo insegna la civiltà egizia, come più ragguardevole esempio di molte (come la cretese) voleva dire avere qualità di dominatore come unificatore di due mondi diversi, di due nature : l’ureos dei Faraoni voleva dire questo, ed anche la congiunzione di principio-fine (ouroboros). La civiltà appenninica vedeva nel serpente la principale espressione della Dea Madre come unificatrice di opposti sistemi, come espressione della continuità vita-morte, come continua creazione. (vedi: la Figlia di Jorio, di D’Annunzio: …” la femmina di Luco, Angizia _ serpente_ Fura…” Angizia è il nome locale della Dea).
Ma c’è un luogo particolare per evidenziare quanto detto: il paese di Vacugno, sacro alla Dea Vacuna, una delle Grandi Madri dell’antica Italia, ed ancora, in zona, le piccole località di S.Pietro al Lago, Laculo, Cerciara, Posta, Vacone . Sono tutti piccoli aggregati urbani che rammentano più o meno la Femminilità sacra, là intorno. Sono, a guardare la cartina, tutti pressoché disposti a cerchio su una ampia e profonda vallata, che a sua volta, risalendo, per chi guarda con le spalle al Lazio, mostra tutta la maestosa montagna del Gran Sasso.
Questa complesso montuoso , i Monti della Laga, spicca improvvisa come una presenza, ma non solo, sempre da questo lato offre, prima della cima triangolare ed acuta, due punte minori gemelle a metà altezza, perfettamente coniche come fossero delle tetractis. La profonda pianura è, per la sua forma, per il suo significato, per la posizione circostante degli agglomerati urbani, il luogo sacro di Vacuna, che ha come senso il “vacuum”, il vuoto, la cavità, la grande coppa che raccoglie le acque della montagna sovrastante, attraverso i triangoli dei picchi gemelli, per rendere feconda e vitale la zona. Anche sui Gemelli c’è da dire: Castore e Polluce, ma ancora le due colonne di Hiram, le duplici tendenze delle qualità umane, i due colori complementari, le opposte-complementari cariche dell’elettricità, quelle che generano , se accostate, il moto circolare, (e qui si pensi al moto planetario). Il grande cerchio che è perimetro del bacino, in relazione geometrica con le rette provenienti da tutte le cime del monte, darebbe la posizione, nel loro intersecarsi, dei luoghi ove celebrare i riti o trovare dimora, ma ancor più, guardando il cielo, esse potrebbero riflettere le relazioni fra i pianeti e più, una sorta di pianta archeometrica. Si potrebbe prendere una carta dello Zodiaco e verificare, oppure osservare in cielo le stelle per la loro corrispondenza su questo cerchio in piano , calcolando quanto intuito.
Naturalmente, visto che sono passati diversi secoli, bisogna riportarsi anche alla situazione astronomica del paleolitico. (Di certo, civiltà ancora più remote di queste già arcaiche, si sono fondate sulle osservazioni stellari: si veda ad esempio, la cultura di Golasecca, ed altre subalpine, oppure la stessa Stonehenge. La Cultura di Golasecca provvedeva a semine, raccolti o cerimonie correlate sulla base delle posizioni di Venere , come in Egitto, ad esempio, si osservava Sirio.)
Ma una cosa ancora dà come sacra la zona: fermi, in piedi al limitare del bosco, osservando la cima maestosa del Gran Sasso di fronte, con la conca della valle ai piedi, si percepisce una presenza larga e benefica, un sorriso nella natura, ci si sente avvolti, si prova la sensazione di una mano che si appoggia sulle nostre spalle.
Iscrizioni che testimoniano sacrifici e cerimonie a Vacuna sono presenti nei vari paesi citati, e ne parlano, in età più vicine, Orazio, ed Ovidio ( Fasti, VI 305, 3 1 0, ) con la precisazione che le cerimonie fossero connesse con il fuoco (Orazio dice “Vacunalis igni”). Ma in relazione alla Grande Dea , Dumézil sostiene che essa sarebbe la “dea di ciò che è lontano, la dea di chi non c’è”, facendo riferimento al mondo dei morti o al mondo astrale ancora non determinatosi in questa terra. In tal caso il culto di Vacuna sarebbe già, sempre con riferimento a Dumézil, di carattere indoeuropeo, per la suddivisione in tre classi di viventi più una dei morti. Ciò però è difficile attestare, perché la costante presenza della Dualità porterebbe a collegamenti con precedenti culture.
Guardiamo adesso il rito: in paese si organizza, come si vedrà dopo per Marta, una processione con fedeli che portano in mano spighe recise (se si pensa ai riti eleusini, ciò vorrebbe dire un riferimento della Dea con chi “non ha più corpo fecondo, o testa,” vale a dire, i morti) figurine fatte di frumento, dirette ad un simulacro che attualmente è una Madonna con Bambino nella piccola chiesa principale. Ci spiace non avere testimonianza della figura originaria; Forse, se facciamo riferimento ad un disegno di antichissimo bassorilievo cementato in un muretto al centro del paese ed ora singolarmente scomparso, è un mezzobusto di donna fra due serpenti attorti, ma, ripeto, è solo un’ipotesi.
A questa Madonna viene in seguito condotto un toro, che il bovaro costringe tre volte a porsi in ginocchio di fronte ad essa. C’è qui ricordo di un’era antichissima, precedente la nostra per lo meno di due: stando allo Zodiaco essa è quella del Toro, precedente quella dell’Ariete e quella attuale (cuspide) dei Pesci, l’era di Saturno. Ricordiamoci il biblico toro, simulacro che Mosè dichiarò privo di sacralità ( dichiarando cioè la fine di un’era) , ed i vari Tori mediterranei da Creta alla Spagna, passando per Europa rapita, vale a dire conquistata, dal Toro. ( vedere Kéréniy e Graves, i miti greci). Ad ogni modo, il significato è questo: le tre essenze dell’uomo e la loro potenza, soprattutto nella materia, si inchinano alla Grande Dea, alla eterna generazione. La cerimonia termina con la festa del solco: villani partono nottetempo per una salita al monte Boragine, ed all’alba tagliano un ramo di faggio che poi piantano su una piccola radura sulla cima dello stesso monte, per cavare dal posto, con l’aratro, un solco lungo giù fino al paese: è evidente l’analogia alla fecondazione, con il seme piantato sulla cima del monte, dal culmine della potenza maschile affinché per mezzo del solco si propaghi la fertilità L’antica civiltà ivi stante non era, è manifesto, una civiltà femminista, ma una civiltà che celebrava l’eterno nascere, formarsi, morire, ri-formarsi, rinascere.
Riprende al termine la processione, con il trasporto alla immagine sacra del covone, detto manocchio, cioè del seme nuovo pronto al cibo ed alla semina, infatti, deposto il covone ai piedi della Dea, adorata perché è tramite della potenzialità divina, si lanciano le ciambellette sugli astanti. Ancora un simbolo di fertilità e di generazione, tutta la festa, che dura per il numero magico di sette giorni, non è che l’omaggio ad un continuo ciclo fluido di vita. Il numero sette è il numero della sapienza attiva, per i Rosacroce, e per la numerologia è il tre nel quattro (il nucleo divino nei quattro elementi della vita).
Marta ed il lago – Marta, nota per la famosa festa arcaica della Barabbata, così detta appunto per il suo carattere religioso, ma fuori dal cattolicesimo , il quale tentò senza esito di cancellarla, è una deliziosa località intorno al lago di Bolsena, l’antica Volsinii o Volsinium.
Dal punto di vista costitutivo, il lago ha origine da una serie massiccia di bocche vulcaniche: tutti i laghi ed i laghetti intorno non sono che ex crateri. In più: Bolsena è un enorme invaso su una serie di vulcani in quiescenza, due antichi crateri di questi sono le isole Martana e la Bisentina. La Martana conserva ancora la costituzione semicircolare della bocca di fuoco.
Il Lago è notevolissimo dal punto di vista scientifico , per la complessità della sua struttura, ed è altrettanto importante per il significato che i culti sorti intorno e vicino ad esso hanno apportato. I culti di solito rappresentano le civiltà che li adoperano, sicchè si può dire che moltissime si sono affacciate alle sponde di questo largo spazio d’acqua, da quelle delle quali si è persa la memoria, e che probabilmente hanno inventato la prima scrittura “atlantidea” , ancora attestata nell’uso dell’indicazione dei segni zodiacali e riproducente le forme di taluni costellazioni, a quella coeva dell’uso del segmento, scrittura filosofica cioè, per la quale il ripetersi di vari segmenti in varie posizioni non era che un opportuno ripetersi dell’Uno. Nota 1 –
Quanto a mineralogia, lo specchio d’acqua ha una vera e propria collezione di pietre vulcaniche, quali il nenfro, il tufo, usati anche per le costruzioni, altre pietre durissime e scarsamente malleabili come granito e basalto, ematite, calcio, piccole presenze di quarzi e porfidi, ed altro, soprattutto di origine effusiva. Ha anche presenze di origine marina, rappresentate da fossili di conchiglie, residui di quando la terra era solo un continente. La flora è copiosa e copre una vasta zona da quella usata come alimento a quella raccolta o coltivata per ornamento. I funghi sono presenti in molte varietà, ivi compresi quelli facenti parte delle muffe, che gli antichi nostri progenitori adoperavano come antibiotico.
Tracce di pali e di antiche vie portano alle sponde e dentro il lago stesso, evidenze di fenomeni di bradisismo positivo e sprofondamenti di causa vulcanica, come già si nota a Bracciano, e che costituiscono testimonianze di agglomerati urbani che si perdono, come età, nella notte dei tempi. Ai piedi del monte Bisentio, di fronte all’isola, in profondità delle acque c’è un agglomerato di palafitte della età probabilmente del Ferro, e tracce di palafitte sono anche sparse lungo le coste del grande Lago.
Il Bolsena è ricchissimo di fauna, sia sulla zona agricola che nelle acque: cinque o sei tipi di pesci eduli ed altri, molluschi, poi tutti gli animali da cortile, da stalla e selvatici come la lepre, il cinghiale. E’ logico ritenere che vi affluissero diverse popolazioni venute da ogni parte, e che, per la ricchezza trovatavi, anche come incontro di diversi gruppi di genti, fosse considerato sacro.
Infatti, essendo il luogo oltre che ubertoso anche grandissimo, sembrava , più che uno specchio d’acqua, un Occhio di Cielo, il Cielo riflesso sulla terra in forma di acqua, dunque di entità divina femminile ( – m – nelle lingue dei progenitori indica tutto ciò che scorre e si muove, tutto ciò che manifesta una generazione). Bolsena, in etrusco Velzna dal nome della località vicina, fu sempre un santuario, e questo santuario divenne così famoso da raccogliere per le sue celebrazioni ben dodici gruppi di gens (lautni, laos, leute) etrusche ed altre italiche ed europee. Nota 2 –
Probabile che l’origine delle sacre celebrazioni fosse Capodimonte , in quanto l’orografia del luogo si presta a collegare l’acqua con l’acumine divino , e maschile, dello sperone di roccia che attualmente è la rocca di una famiglia nobile, Farnese, che nel medioevo furono i signori di tutta la regione. Non solo, ma, essendo più accessibile da vari punti cardinali, la zona del lago appartenente a Capodimonte è quella che più si prestava a raccogliere le genti che si recavano colà. Gli studiosi però propendono per una zona più vicina alla Velzna vera e propria, dato che nei paesi sono presenti tracce notevoli di costruzioni e di offerte votive dedicate alla Dea Voltumna che era la Dea Madre della nazione etrusca arcaica. Il culto era così rinomato da raccogliere annualmente, al solstizio estivo, genti di ben dodici città confederate per gli omaggi e le feste alla Divinità. Un’altra rappresentanza della Dea Madre era Northia, anch’essa ricordata in molte zone di questa regione .
Tutti gli scrittori antichi sono concordi nel definire Volsinii, Bolsena, come di un luogo sacro. Non solo i poeti, ma anche gli storici come Livio, quando riferisce delle guerre fra Roma e le popolazioni etrusche e falische, o studiosi tardoantichi come Servio, teso a reperire qualche traccia dei Libri Fulgurales, dei Libri della Nazione Etrusca, gente assolutamente osservante ciò che era divino. Vi è anche Dione Cassio e il bizantino Zonata, correttissimo nei suoi studi, lo storico degli imperatori Comneni.
Volsinii non è solo il Lago, è per essi un’intera regione popolarissima e ricca di scambi , produttiva, animata. I rapporti più frequenti, verso l’indispensabile mare per la indubbia arte marinara di questa gente, erano con Tarquinia, e ciò si riflette nel tipo di manufatti e nella qualità di costruzioni e pitture, come si vede nei Musei che ne raccolgono i reperti. Anche con Vulci gli scambi sono attestati, ma anche le concorrenze, tanto è vero che nel corso della storia più di un dipinto riporta lotte e contrasti fra di loro.
Marta era una località di passaggio, scambio e transito di varie popolazioni italiche e, successivamente, anche di genti galliche, – Nota 3 – insieme a Capodimonte, a Gradoli ed a Vesentium. Ognuna delle città partecipava annualmente al Solstizio estivo offrendo primizie e voti a Voltumna e traendone previsioni per il futuro, sia dal punto di vista economico che umano.
Le città erano numerose, anche se erano ricordate solo le dodici più importanti, secondo le originarie regole astronomiche che vedevano l’anno rappresentato ogni quattro lune da una costellazione, la presenza della quale determinava l’andamento di chi fosse nato sotto la sua attività spirituale, come se la costellazione non fosse che un canale attraverso il quale la Grande Madre Voltumna (eterno vivere) permetteva il distacco su questa terra di un’anima in lei compresa, concepita con l’ordine indicibile della sua parte maschile, potenza quanto ella fosse possibilità.
La Dodecapoli Etrusca ha questo significato, il che attesta quanto fosse remota l’origine dell’uomo, da sempre legata all’astronomia , forse anche prima della mitica civiltà detta atlantidea, della quale non abbiamo che cenni o presunzioni.
Il fatto che tutte queste popolazioni convenissero in questa zona attesta l’enorme portata del suo culto, e spiega la furia devastatrice dei Romani, più adesi al culto della Triade Maschile col vertice in Djaus, (Juv – pater) , che spensero questo Fanum per disperdere la fortissima nazione tirrenica.
In questa occasione si celebrava la festa del Chiodo: nel muro apposito del Fanum il gran sacerdote, il Truthnt (colui che è sommamente saggio, come l’omologo Druido), piantava un chiodo grosso, un quadrello di ferro, per ringraziare la Dea di aver illuminato con il suo amore un altro anno della Nazione. Poi i Netsvis, i “fulgurales” , studiavano le previsioni ed i haruspeks osservavano le viscere, soprattutto il fegato, delle vittime per dare i loro responsi, in qualità di interpreti della Madre divina. Va detto che i “fulgurales” erano legati al Dio indicibile, a colui che determinava la potenza , che costituiva la sua essenza, attraverso i fulgura, i fulmini.
Il fegato era lo specchio riflettente il cielo, ancora una volta si tornava all’astronomia, ed esso era dunque diviso in settori secondo la divinità, rappresentata dalla stella maggiore della costellazione relativa.
La festa “Barabbata” di Marta è ancora una volta un canto alla Dea Madre, testimoniato dal fatto che è interamente celebrata da esseri di sesso maschile, con vivissima rappresentanza di bambini, che qui hanno il ruolo simbolico dell’eterno rinascere e rinnovare. Tutto muore e risorge, fuoco acqua fauna e flora, e tutto viene per il beneficio del frutto estivo a tutti distribuito dopo la consacrazione. Che ammette nell’eterno cerchio dell’uroboros, delle ciambelle, l’eternità della vita, invocata evocando le forze telluriche benefiche, la Proserpina feconda, battendo forte i piedi sul suolo e passando tre volte, come i corpi dei quali l’uomo è costituito, sotto i due passaggi, l’arco e la porta del Tempio, la nascita e la morte che porta a rinascere.
Più in là nei secoli questo significato sarebbe stato il credo ed il martirio dei cosiddetti eretici, ad esempio i Templari, i Rosa+Croce, gli Alchimisti, che secondo la Somma Sapienza, il numero sette, avrebbero previsto il compiersi dell’iniziato: sette operazioni magiche, vale a dire di memoria e d’amore, ripetute tre volte.
A questa festa lontanissima s’accosta la siciliana festa della Vara, con simile procedere ed eguale significato: la Vergine Madre è dritta su un carro ricolmo di spighe e frutti e prodotti della terra, ed intorno a lei, a raggiera, sono presenti dodici angioletti bambini, anticamente addirittura fissati a dodici aste per non farli scomporre, che sono simbolo chiaro dei Dodici Segni Zodiacali, dei Dodici Cavalieri di Re Artù, delle Dodici Fatiche di Hera-Klés, il Figlio, la gloria della Dea.
Note:
N. 1 – Lo spunto mi è stato suggerito da Guénon, Simboli della Scienza Sacra, per l’origine della scrittura. Ma anche la Cabbalah, parlando dei Numeri come significato sacro delle Lettere alfabetiche , lo accenna, in particolare per lo “jod”, fatto come un bastoncino, e corrispondente al numero Uno, quindi Dio.
N. 2 – Nella zona, per quanto concerne le popolazioni celtiche, è presente nelle necropoli, anche se sporadicamente, il famoso “vaso a forma di bicchiere campaniforme” che è tipico del Mitteleuropa . Inoltre la lingua simile attesta che molto probabilmente, quando la terra colà era non ancora uscita oltre la dorsale appenninica e questa in parte, la civiltà fosse sparpagliata nelle terre emerse, le genti dunque erano affini. Ricordo che proprio vicino ai monti Cimini e verso i massicci appenninici si trovano resti di fauna marina. Inoltre è indubbio che il tedesco “Leute” o l’inglese “leod” siano affini al greco “laos” o all’etrusco “lautni”, cosa che, quanto a significato, non è presente in latino, che usa “gens”.
N. 3 – Ricordare l’invasione dei Galli, che in età storica è puntualmente descritta, (es. l’anno 410 a. C.) ma che in età protostorica o prima ancora è puramente subita. Inoltre vi è, anche se non proprio in periodi arcaici, una forte presenza di Greci, dalle Cicladi, da Focea. Ricordare che questi fondarono Massalia, Marsiglia, e varie altre città costiere . Ancora: è certo che le età protostoriche hanno visto sulle coste adriatiche presenze di popolazioni venute dall’est, che non è impossibile pensare arrivati anche più al centro anche se in quantità assolutamente sporadiche.
Per il nome di Marta, Marath, si vedano Cristofani, Pettinato ed altri. Marath ha come origine linguistica, nel senso di Marte, il sumero Maruth, guerriero, “colui che combatte la morte perché è vita”, ed il femminile Mara è “quella che diventa madre” (si noti che le allocuzioni sono comuni sia nelle lingue nordiche che nelle antiche lingue dell’Africa) Il sumero ha come segno del femminile lo stesso che adesso si adopera per lo Zodiaco, quando si vuole indicare il segno della Vergine,cioè tre segmenti vicini ed il quarto che forma un arco; in ltre antiche lingue è la M che indica un triangolo verso il basso. Ha come omologo il segno maschile dello Scorpione, che indica il maschile mediante la freccia sollevata. ( Julius Cohen, Faville del fuoco…) Marta, Marath, è la donna che genera un omonimo fiume, quindi è luoo dedicato alla generazione devina.
Ancora una nota: in etrusco, Maru è “il magistrato”, si può allora pensare a un’affinità con la Cabala, per quanto concerne le proprietà del bellicoso Geburah? In sumero “maru” vuol dire “figlio”.