Mutamenti strutturali in Italia a seguito Guerra 1915-18
7. La politica agricola e alimentare.
Anche l’agricoltura, come l’industria, non era preparata a far fronte alle necessità della guerra. All’inizio del conflitto non era stato predisposto nessun programma di mobilitazione agricola, né esisteva alcun piano di distribuzione delle derrate.
Fu perciò necessario ricorrere a mezzi eccezionali e utilizzare tutte le risorse esistenti nel Paese. L’importazione delle merci alimentari era resa difficile dalla guerra sottomarina, dalla mancanza di navi e dall’aumento della domanda da parte dei belligeranti. I combattenti si alimentavano meglio dei civili e, comunque, coloro che erano andati sotto le armi mangiavano meglio di quando erano borghesi (carne, zucchero, caffè per es. facevano parte della normale dieta del soldato mentre erano alimenti rari in quella dei civili, specie nelle campagne). I compiti di organizzare la produzione agricola e la distribuzione delle derrate furono ripartiti tra il ministero dell’Agricoltura e il nuovo ministero per gli Approvvigionamenti e i Consumi alimentari[27]. Si venne così a creare un complesso organizzativo articolato attraverso «Commissioni provinciali di agricoltura» che più tardi, nel 1918, venne ampliato e meglio disciplinato dalla cosiddetta mobilitazione agraria. Provvedimenti speciali riguardarono l’impiego in agricoltura dei prigionieri di guerra, la moto-aratura di Stato,e altro.
Erano provvedimenti che talvolta – a causa dell’improvvisazione, della mancanza di esperti organi di applicazione e delle aspre difficoltà dei tempi –ebbero scarsa efficacia, ma che sarebbe ingiusto affermare non recassero alcuna utilità agli scopi per i quali erano stati presi. Osserva a tal proposito Arrigo Serpieri[28] che di tali provvedimenti si parlò poi più per gli inconvenienti che per utilità e ciò soprattutto in prosieguo di tempo, «allorché l’azione dello Stato, dall’indirizzo primitivo di aiuto agli agricoltori, andò sempre più trasformandosi in un regime di vincoli, di discipline, di coalizioni verso di essi … »[29].
Avveniva cioè quel fenomeno, ricorrente nelle moderne economie di ampio intervento statale, che è caratterizzato dai due noti aspetti quasi sempre coesistenti: anzitutto, mentre si tace, o si sottovaluta, l’efficacia delle utilità prodotte dalle misure adottate dai pubblici poteri, si mettono in evidenza gli effetti negativi, peraltro spesso marginali o riguardanti pochi interessi colpiti, che ogni azione umana, specie di vasta portata, produce nel suo applicarsi. In secondo luogo gli organi di intervento, poiché sono costituiti dal personale dell’amministrazione dello Stato, portano, nell’emanazione dei regolamenti di esecuzione e nelle modalità di applicazione concreta degli indirizzi generali, la consueta forma mentis formalistica derivata dall’abitudine a garantire con minuziose procedure la salvaguardia del pubblico denaro e l’uguaglianza delle condizioni per tutti i cittadini.
I due aspetti fanno indubbiamente parte della psiche umana, più portata a lamentare i torti, veri o supposti, subìti dai singoli – e ad ampliarli facendone casi esemplari di una generale condizione – piuttosto che a compiacersi dei risultati interessanti il bene comune. In realtà è più facile colpire la fantasia degli individui e trovar rispondenza nell’eterno timore di vedere in prospettiva colpito anche il proprio particolare (come diceva Guicciardini); mentre appare astratto e compiacente verso l’autorità costituita lodare o anche soltanto rilevare come positivi i risultati ottenuti e quindi concorrere a consolidarli attraverso l’invito a continuare l’applicazione di misure di interesse generale. Ma questa è la natura umana: ci si lagna dei malanni quotidiani e se ne fa oggetto di abituale conversazione, mentre non si parla di ciò che soddisfa quando si sta bene. Comunque stiano le cose, è nostro compito valutare i risultati. Fatta cento la produzione agricola anteguerra, la produzione annua nel quinquennio 1915-1918 si tenne sul 94,4% e ciò malgrado che il 54,2% dei lavoratori uomini fosse al fronte[30].
Certamente va rilevato che si ricorse in maggiore quantità che per gli anni precedenti al lavoro delle donne e dei ragazzi per compensare l’assenza della manodopera e furono concessi brevi esoneri specie nelle stagioni delle semine e dei raccolti; tuttavia va considerato che lo sforzo umano del ceto agricolo fu enorme e meritevole del sacrificio di coloro che combattevano. Sul piano delle attrezzature si cercò di aumentare la meccanizzazione e a tal fine furono anche acquistate macchine agricole negli Stati Uniti che però si rivelarono inadatte alle ridotte dimensioni dei terreni, alla loro posizione spesso collinare e al tipo di colture nazionali.
Altre difficoltà vennero dalla scarsa disponibilità dei fertilizzanti in cui ingredienti erano utilizzati per la fabbricazione degli esplosivi; dall’aumento della macellazione del bestiame, non compensata dal ritmo naturale della riproduzione (il patrimonio bovino nazionale si ridusse da 6,1 a 5,1 milioni di capi); dalla riduzione della produzione cerealicola. Aumentò la produzione del legname, che incise inevitabilmente sul patrimonio boschivo.
Quando la scarsità di derrate si fece sentire, lo Sato stabilì premi per coloro che aumentavano la produzione, specie del grano, e i prefetti poterono emanare disposizioni per obbligare alcune colture come frumento, patate e verdure. Si può ben dire che il problema dell’autosufficienza alimentare del popolo italiano abbia assunto con la guerra 1915-1918 il posto centrale nelle preoccupazioni di studiosi e politici e che insieme con l’esperienza del crollo austro-tedesco, dovuto anzitutto alle carenze alimentari, abbia costituito la premessa per la successiva politica autarchica e in particolare per quella tesa all’autosufficienza agricola che andò poi sotto il nome di bonifica integrale e di «battaglia del grano».
Tuttavia va osservato che, mentre negli anni che vanno dal 1926 in poi la politica agricola ottenne cospicui successi raggiungendo gli obiettivi proposti grazie alla programmazione introdotta, durante la guerra non si ottennero i risultati sperati anche perché, oltre all’interventismo statale di natura meramente burocratica e non produttivistica e alla mancanza di adeguati opportuni orientamenti tecnici e organizzativi , si tennero imperativamente bassi i prezzi dei prodotti agricoli, per impedire l’aumento del costo della vita e quindi non acuire il malumore nelle città.
Nel primo anno di guerra lo Stato requisì il grano a basso prezzo; nel 1916 tale prezzo fu ulteriormente ridotto proprio quando invece sarebbe stato necessario favorire l’estensione della produzione attraverso la convenienza nei ricavi delle vendite. I sussidi dati ai contadini non furono ben congeniati talché essi preferivano dare il grano agli animali in quanto ricavavano dalle carni maggiori introiti. Il governo ricorse così ai razionamenti[31] che non solo riguardarono la dieta generale dei singoli, ma anche quelle particolari dei bambini, dei vecchi, degli ammalati e di talune professioni. La regolamentazione arrivò anche a stabilire le modalità di panificazione, i giorni autorizzati alla preparazione dei dolci e alla vendita delle carni[32].
8. La modifica e lo sviluppo del sistema delle infrastrutture.
Di grande rilevanza fu poi lo sviluppo dei sistemi di comunicazione e trasporto, terrestre e marittimo. per quello terrestri grande impulso ebbero i potenziamenti delle linee ferroviarie e delle relative attrezzature per i trasporti[33]. In particolare le ferrovie italiane dimostrarono di essere in grado, prima, di provvedere alla mobilitazione nella primavera del 1915, radunando le truppe e i materiali verso la frontiera con l’Austria e, poi, nel 1917, di effettuare d’urgenza e in difficili condizioni lo sgombero dei militari e civili, nonché dei materiali bellici e industriali da salvare nelle zone invase[34].
Dal 14 maggio 1915 al 31 dicembre 1918 furono effettuati nella zona di guerra 294.000 treni per il trasporto di 15.373.000 uomini di truppa, di 1.826.000 feriti e ammalati, di 1.300.000 quadrupedi e di 347.000 veicoli e assimilati[35]. Nel primo biennio della guerra le percorrenze degli appositi treni militari furono circa l’8% del movimento generale, mentre nel 1917 e nel 1918 la percentuale salì rispettivamente al 12 e al 18. Tuttavia tale movimento non rappresentò che una parte soltanto dei trasporti di guerra, giacché moltissime truppe, derrate e materiali si trasportavano con i treni ordinari.
Va poi ricordato che con la Prima grande guerra ebbe inizio la motorizzazione stradale che la stessa guerra promosse per le sue esigenze: «si può dire – scrisse Filippo Tajani – che l’automobilismo pesante, poi adottato nel trasporto delle merci con gravi conseguenze sui bilanci ferroviari, sorse appunto dall’uso che se ne fece nella guerra 1914-1918 »[36].
La guerra causò il mutamento del tipo delle merci in transito nei porti; mentre veniva ridotto il carico e scarico delle merci private si manteneva elevato il movimento: a una diminuzione degli arrivi del carbone corrispose un notevole aumento dei cereali. per evitare ingombri nei maggiori porti si favorì lo scarico delle merci in altri scali dirottando le navi e accordando agevolazioni di tariffa per i trasporti obbligati a effettuare maggiori percorsi. Va tenuto presente che potevano essere usati quasi esclusivamente i porti del Tirreno in quanto quelli dell’Adriatico erano oggetto degli attacchi dei mezzi navali di superficie e sottomarini dell’Austria. Quindi si presentavano, anche a questo riguardo, ulteriori problemi per il trasferimento delle merci. Con l’occasione si ricorda che tutto il litorale adriatico fu percorso da treni blindati armati con potenti artiglierie per la difesa delle coste.
I minori arrivi di carbone inglese per mare furono in parte compensati dai trasporti di carbone inglese per mare furono in parte compensati dai trasporti di carbone inglese e francese effettuati per ferrovia dai porti dell’Atlantico e dalle miniere del centro della Francia. Le ferrovie italiane provvidero inoltre a un aumento straordinario nei trasporti di combustibili nazionali (1.000 carri al giorno).
Nei due ultimi anni di guerra entrarono dai valichi di Modane e Ventimiglia quasi due milioni di tonnellate di carbone in circa 100 mila carri. A tale scopo furono adibiti 10.000 speciali carri di grande portata.