Passaggio in India, l’eterna promessa della moda italiana
Si deve attendere la fine del mese per la Luxury Conference di Mumbai, organizzata da Hindustan Times e Mint, il magazine di lifestyle del quotidiano, per sapere se il made in Italy riuscirà a sbarcare anche nel subcontinente indiano. Verrà infatti riaperto il lungo dibattito sui temi della alte barriere tariffarie e della proprietà dei negozi sospeso a causa della campagna elettorale.
Secondo il vicepresidente di Altagamma, Armando Branchini, grazie alle aperture di Modi si potrà forse eliminare quella clausola del 30% di prodotti locali che finora ha bloccato l’espansione dei grandi brand internazionali, il ragionamento è molto semplice e logico chi comprerebbe una Ferrari o una borsetta di Ferragamo con il 30% dei componenti non originali? L’Italia per i suoi prodotti darà loro una serie di garanzie per sostenere un’occupazione qualificata come i corsi per chi è impegnato nei negozi e la scelta della mano d’opera per allestire le boutique con l’uso di materiali locali. Con questo intervento probabilmente cadrebbe anche l’ultimo limite giuridico alla proprietà diretta dei negozi dei quali gli stranieri possono essere titolari solo fino al 51% dovendo obbligatoriamente coinvolgere un socio indiano per il 49 % con risultati non proprio felici sia su ricavi che sugli investimenti. Questo spiega anche come la presenza dei negozi internazionali sia così esigua, nel 2013 solo tre città indiane ospitano brand stranieri contro le 43 della vicina Cina.
Vista poi l’intensa attività tra Unione Europa e Giappone e UE e Usa per concludere nuove trattative sul libero mercato, e l’intenzione dell’India di ricollocarsi, dovrà rivedere queste barriere.