Perché molti brand perdono il nome di battesimo del fondatore?
Il cambiamento si è verificato quasi di nascosto, in sordina, senza alcun comunicato ufficiale. Con l’arrivo alla direzione artistica di John Galliano da Maison Martin Margiela, il nome di battesimo Martin è stato eliminato. Ribattezzata semplicemente Maison Margiela, la griffe si è in un certo qual modo affrancata dal suo fondatore.
Nel 2012, era stato Yves Saint Laurent a vedersi tagliato il nome con l’arrivo al timone del brand di Hedi Slimane. In questo caso, il nome del marchio era stato ulteriormente modificato con l’aggiunta di Paris. La griffe è stata così ribattezzata Saint Laurent Paris, come a sottolineare la sua origine, simbolo di stile e artigianalità.
Ogni cambiamento nel nome di una label, per quanto minimo sia, viene studiato attentamente ed entra a far parte della strategia di marketing del brand. In generale, le case di moda evitano di rendere pubblici questi aggiustamenti, in modo da non spaventare i clienti e i fan del marchio, fino a quando il nuovo nome non venga identificato in automatico nelle loro menti.
Del resto, questa pratica è comune nel settore della moda, dove succede spesso che una maison perda il nome di battesimo del suo creatore a seguito della morte di quest’ultimo, come Dior per Christian Dior, Chanel per Coco Chanel e, più di recente, Versace per Gianni Versace.
“Eliminare il nome di battesimo dello stilista è un modo per perpetuare il marchio, per eternarlo. E segna anche il passaggio dallo stato di griffe a quello di marchio globale. Senza contare che un nome più corto e più semplice è più facilmente riconoscibile e più efficace da utilizzare e declinare su tutti i prodotti, dagli occhiali ai profumi”, analizza Salvo Testa, professore di Fashion Management alla Bocconi di Milano.
Alcuni l’hanno capito prima. Quando la stilista Miuccia Prada, nipote di Mario Prada, artigiano pellettiere che ha fatto nascere il marchio, ha rilevato l’azienda di famiglia “Fratelli Prada”, l’ha ribattezzata semplicemente con il suo cognome, senza il nome. Stesso comportamento per il produttore di valigie in pelle Guccio Gucci. A seguito del proprio successo, l’azienda fondata nel 1921 G. Gucci & C. si trasforma in Gucci negli anni ’60, creando un nuovo logo molto semplice, ma molto efficace: le celebri due G incrociate di Guccio Gucci.
“In generale, le griffe sono associate al nome del loro creatore e basano tutta la loro comunicazione attorno a questo personaggio, spesso dipinto, se si tratta di uno stilista, come un demiurgo, o persino un guru. Questo meccanismo permette di costruire un’identità coerente attorno alla marca. Fin quando il marchio arriva a coincidere con il personaggio, questo tipo di comunicazione funziona. Quando il designer fondatore scompare, il tutto diventa più complicato”, prosegue Testa.
Nel caso di Salvatore Ferragamo, per esempio, il marchio continua a presentare il nome del suo fondatore, l’artigiano delle calzature che ha fondato la label. Ma come nota Salvo Testa: “In alcuni casi, gioca anche l’elemento affettivo. Wanda, la moglie di Salvatore Ferragamo, è ancora viva, e non è ancora pronta a vedere eliminato il nome del marito”.
In effetti, non c’è nessuna regola assoluta. In Italia, per esempio, senza necessariamente essere degli stilisti, numerosi imprenditori hanno chiamato come loro stessi il proprio brand, da Brunello Cucinelli a Ermenegildo Zegna, pur mantenendo il loro nome di battesimo, per quanto lungo fosse…
Dominique Muret (Versione italiana di Gianluca Bolelli) articolo ripreso da fashionmag.it