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Shopping nell’emiro

Una città di 9 milioni di abitanti vale per l’export italiano tanto quanto l’intero Giappone. Il Pil cresce del 4%, ma i consumi di made in Italy volano del 12%. Con lo scoppio della crisi russa, le strategie per la crescita dei brand di lusso virano su due enormi mercati, Stati Uniti e Far East, e su una “piccola” città. Si tratta di Dubai, il cui segreto di prosperità consiste in un meccanismo consolidato di fiducia. Investire qui conviene, sempre. Che si tratti di creare il grattacielo più alto del mondo, l’hotel più lussuoso, il mall dalla maggiore metratura, l’importante è arrivare per primi, conquistare la fama dei numeri uno in ogni campo, e i risultati verranno di conseguenza. Da qui al 2020, quando il business center degli Emirati Arabi celebrerà il proprio Expo, si moltiplicheranno i cantieri, aumenteranno gli ingressi turistici (con previsioni di venti milioni di visitatori l’anno) e naturalmente le vendite nei mall, con nuovi progetti di costruzione tali da far impallidire gli attuali leader. Se oggi spetta al Dubai Mall di proprietà Emaar Properties, con 1.200 punti vendita e una superficie totale di 1,7 milioni di metri quadrati (di cui 1,15 adibiti a negozi), la palma di primo shopping mall del mondo, i progetti del gruppo Nakheel (quello che ha creato Palm Jumeirah, l’isola artificiale dove sorge l’imponente hotel Metropolis) sono tali da determinare il possibile sorpasso nella graduatoria degli operatori commerciali di Dubai. Il loro piano prevede un investimento di 1,7 miliardi di dirham (oltre 400 milioni di euro) per gli 850mila metri di negozi nel Deira Islands Mall e un ampliamento dell’Ibn Battuta Mall, che raggiungerà i 600 mila metri. Sempre che, nel frattempo, non nasca quel Mall of Arabia che una terza società, Galadari Group, avrebbe dovuto aprire nel 2008 proprio per superare la metratura del Dubai Mall e che è stato bloccato dallo scoppio della crisi. Emaar da parte sua rilancia con la già avviata estensione di Dubai Mall. “Aggiungeremo un milione di piedi (circa 300 mila metri, ndr) alla nostra Fashion Avenue, che ci permetterà di ospitare altri 150 brand del lusso internazionale” annuncia Nasser Rafi, Ceo di Emaar Malls. La lista d’attesa è lunga e gli spazi non sono più sufficienti a soddisfare le richieste di gruppi a caccia di location centrali o con progetti di ampliamento delle loro boutique. Prada, ad esempio, è presente con un punto vendita nello shoe district, l’area destinata alle scarpe, ma non ha ancora trovato uno spazio adeguato alle proprie esigenze per abbigliamento e pelletteria.

Skyline di Dubai, principale città commerciale degli Emirati Arabi. Emirato dello shopping - {focus_keyword}

SKYLINE DI DUBAI

UN MALL DA 5 MILIARDI 

Il giro d’affari di questo business è enorme. Emaar Malls ha dichiarato che le vendite 2014 dei propri “inquilini” sfiorano i 5 miliardi di dollari e sono aumentate del 14% sull’anno precedente: si tratta di oltre il 5% del Pil complessivo di Dubai. “Siamo nella quarta città mondiale per concentrazione di marchi dopo New York, Londra e Parigi. Il Pil cresce al ritmo del 4% l’anno e per l’export italiano, pur essendoci solo nove milioni di persone di cui un terzo con adeguata capacità di spesa, Dubai vale quanto il Giappone e il doppio dell’India”. Chi parla è Mauro Marzocchi, segretario generale della Camera di commercio italiana a Dubai, nient’affatto preoccupato dagli scenari che si aprono nell’emirato tra incertezza politica del Middle East, diminuzione del turismo russo e calo del prezzo del petrolio. Su quest’ultimo punto la replica è secca. “L’impatto potrebbe ricadere su Abu Dhabi, che detiene il 90% delle risorse petrolifere degli Eau (Emirati arabi uniti). Dubai invece, puntando su turismo e servizi, ha accelerato negli ultimi dieci anni la diversificazione della propria economia e oggi l’attività estrattiva non supera il 20% del Pil”. Tensioni e guerre in atto nel mondo islamico hanno addirittura rafforzato le quotazioni turistiche della città del Golfo, il cui livello di sicurezza è tale da non destare preoccupazioni tra chi, in passato, frequentava Egitto e altre mete a tre-quattro ore di volo dall’Europa. Questo ragionamento vale ancor più per il mondo degli affari. I fatti accaduti dopo la cosiddetta primavera araba hanno indotto le holding a scegliere Dubai come base operativa mediorientale o a spostarvi gli uffici commerciali esteri da altre sedi considerate a rischio. “È il caso di Intesa San Paolo, che pensava di creare il proprio ufficio centrale estero ad Alessandria d’Egitto (dove opera con la controllata Bank of Alexandria, ndr) e invece ha preferito Dubai” sottolinea Marzocchi. Quanto ai russi, il calo delle loro presenze appare piuttosto evidente nei lussuosi hotel attorno alla spiaggia di Jumeirah, e lo shopping system ne ha pagato il conto. Secondo le stime di Euromonitor, la spesa russa nel 2014 sarebbe diminuita del 10% rispetto ai 3,3 miliardi di dirham (circa 800 milioni di euro) del 2013, con particolare sofferenza per le vendite di pellicceria e capi in pelle, che erano tra i beni più acquistati dai clienti dell’ex Urss. Ma i retailer sono fiduciosi e hanno ottime ragioni per esserlo. Attendendo il ritorno dei russi, notano il consolidamento della clientela tradizionale composta di locals (nativi di Dubai), expats (gli “espatriati”, ovvero gli stranieri che risiedono nell’emirato) e dei nuovi turisti in arrivo da Europa, Asia e America Latina con Brasile in testa. Tra gli expats aumenta peraltro la quota di ricchi e super ricchi: sono manager e CEO di multinazionali che scelgono Dubai come sede idonea per trasferirsi con famiglia a seguito, eventualità poco considerata in altri Paesi arabi. La suddivisione stimata del giro d’affari fashion a Dubai è del 70% turisti e 30% locali per le donne contro il 60/40 per gli uomini.

okokok Emirato dello shopping - {focus_keyword}

Fiducia, ricchezza e condizioni climatiche (specie nei mesi estivi, quando la temperatura esterna risulta insopportabile) spingono dunque i clienti all’interno dei mall, con notevole beneficio per le produzioni di lusso made in Italy. All’Ice, situata nel business district di Dubai Internet City, si fanno un po’ di conti: sui 380 marchi rappresentati nei mall, circa la metà sono italiani o prodotti in Italia e tra i tre “top player” del lusso compare Giorgio Armani, che è presente non solo con le proprie boutique, ma anche con l’Armani Hotel alla base dell’edificio più alto del mondo, il Burj Khalifa. Nel 2013, rivela l’Istituto per il commercio con l’estero, l’export italiano grazie a Dubai ha ricavato 150 milioni di euro dal comparto abbigliamento, 100 milioni dalle calzature, poco meno di 75 dalla pelletteria. Nel 2014 il dato dovrebbe essere aumentato tra l’8 e il 12% con punte superiori per calzatura e pelletteria, mentre nell’abbigliamento i risultati sono migliori per la donna rispetto all’uomo: si dice che sotto l’abaya (il camice nero delle donne) sia un trionfo di abiti occidentali e di biancheria intima tanto costosa quanto piccante… “Il business sta crescendo – afferma Francesca Tango, deputy trade commissione di Ice – anche grazie all’ingresso dei brand di fascia media e allo sviluppo piuttosto recente dei walk, con negozi all’aria aperta situati in zone appositamente attrezzate. I consumatori a Dubai premiano novità ed esclusività. Si tratta però di un mercato complesso, in quanto soggetto a un oligopolio di importatori e distributori composto da 4-5 top player suddivisi in due fasce di prezzo, quella top e quella dei workers, ovvero i lavoratori di reddito medio-basso a cui si rivolgono catene e mall specifici”. L’elenco dei top 5 si apre con Al Tayer, gruppo da 8 mila dipendenti e partner tra gli altri di Gucci, Ferrari, Maserati, Armani e Bulgari. Arrivarci non è facile.

Il Dubai Mall, di proprietà del gruppo Emaar Malls, genera il 5% del Pil della città e ha ospitato lo scorso ottobre la Vogue Fashion Night. Emirato dello shopping - {focus_keyword}

DUBAI MALL, DI PROPRIETÀ DEL GRUPPO EMAAR MALLS

SFIDA RETAIL 

Ice e Camera di commercio hanno sempre più richieste di Pmi italiane intenzionate a sbarcare a Dubai, in particolare nella moda, che cercano di soddisfare organizzando due tipi di iniziative: incontri diretti con i buyer e workshop specifici. “Abbiamo in mente per fine ottobre – spiega Marzocchi – un’iniziativa nel settore fashion, che seguirà quelle di marzo per casa e cosmetica, con un numero limitato di aziende, da 30 a 50, che saranno seguite prima e dopo l’esposizione per dare loro la possibilità di entrare con efficacia nel mercato”. Il canale di accesso più efficace parrebbe quello franchising al di fuori dei mall, i cui spazi toccano quotazioni oramai irraggiungibili per una Pmi: si parla di 200mila euro d’affitto l’anno per uno spazio di 100 metri quadrati, ma se la location è in buona posizione la cifra è destinata a crescere; a questa spesa si aggiunge poi una percentuale variabile (dall’8 al 15%) sull’incasso del negozio. Non mancano però le alternative e nemmeno le nuove iniziative. Diana Seclì, giornalista di moda, durante una visita a Dubai aveva notato l’assenza di showroom che esponessero brand di ricerca e ha perciò deciso di aprirne uno proprio: si chiama TwiggyCom e si trova alla Shatha Tower, nell’area di Dubai Media City. “La città – racconta – è pronta ad accogliere brand di nicchia, qualità e ricerca assoluta. Gli arabi viaggiano, conoscono la moda internazionale e il giusto rapporto qualità/prezzo. Le potenzialità per il prodotto femminile sono altissime, in particolare per cosmesi, accessori e lingerie”. Un altro canale di accesso consiste nell’accordarsi con retailer italiani indipendenti già presenti. È il caso di Milena Fashion, buotique aperta a Business Bay da Milena Nonne, che ha alle spalle un’analoga esperienza alle Maldive. “La mia idea – afferma – consisteva nel differenziare offerta e servizio rispetto ai mall e ho perciò iniziato a organizzare tea break a negozio chiuso, presentando marchi inediti e avviando successivamente una collezione privata di costumi da bagno che va molto bene. Dovendo scegliere tra un brand noto e il mio, oggi i clienti più sofisticati puntano sul mio, perché è una novità e perché è vero made in Italy”. Una simile esperienza è quella di Anna de Negri, ex cabin crew di Emirates con formazione da fashion designer, che da cinque anni è presente al J3 Mall con la boutique Fannie, dove vende abiti realizzati su suo disegno da artigiani veronesi. “Alle donne arabe – sostiene – piace l’unicità e l’originalità, sono stanche di comprare marchi di massa. I piccoli produttori italiani avrebbero un grande futuro, ma devono essere loro i primi a crederci. Invece, spesso, i laboratori preferiscono fare i terzisti delle firme piuttosto che rischiare per crescere insieme a me”.

articolo di Andrea Guolo via pambianconews