L’Europa dell’austerità
UN COLPO DI STATO
C’è un idolo pagano, una specie di vitello d’oro, che domina gli animi neoliberisti dei nostri dirigenti europei. Una divinità appesantita dalla quantità del prezioso metallo adoperato per costruirla, con quelle sembianze di moderna Sfinge, con occhi vuoti e indifferenti sull’agonia del continente.
I tanti, troppi cittadini italiani, che, in questi ultimi, tormentati anni non hanno potuto far fronte alla pressione di tasse, balzelli e crediti insoluti e le schiere di tutti quelli, e sono milioni di individui, forzatamente allontanati da una vita dignitosa, per finire nella palude della miseria, oggi sanno chi è l’artefice di tanto disastro.
A chiarire il dubbio è intervenuto il sociologo Luciano Gallino con il suo ultimo lavoro “il colpo di stato di banche e governo”, un’opera circostanziata sulla corrente ideologica del neoliberismo, con tutte le note conseguenze, molto simili, per gli effetti prodotti, alle distruzioni materiali e morali di una guerra mondiale. Gallino riconduce la genesi del “colpo di stato” nel superamento, da parte di Unione Europea, Banca Centrale Europea e FMI, delle volontà popolari, nello scavalcamento di parlamenti e governi nazionali, assumendo, questa “triplice alleanza”, le sembianze di un direttorio. Tutto questo, come ci è stato detto, perché non esistono alternative.
Certamente, nel tempo di questa lunga crisi, di fatti ed immagini sconcertanti siamo stati testimoni: il viaggiare in auto dalle campagne, ancora ben curate, ordinate e dove niente, o quasi, fa pensare alla tragedia che ha piegato il nostro Paese, alle città del nord est, ai nuclei industriali, fino a pochi mesi fa, in fervore di produzione e di lavoro, si ha l’impressione di essere dei sopravvissuti ad una letale epidemia. Capannoni abbandonati, opifici silenziosi, insegne spente o divelte, borghi commerciali dove le serrande dei grandi magazzini sono scese, da molto tempo, per l’ultima volta. È qui che l’idiozia ideologizzata, leggi “il mercato si autoregolamenta”, ha compiuto la sua opera nefasta. Se guardiamo attentamente i dati statistici del periodo, constatiamo che il ceto medio, rappresentato da un insieme di categorie storicamente dedite al lavoro in tutte le sue varietà, ha pagato con imposizioni fiscali, già di per se capaci di indurre un incremento della povertà, e, con la disoccupazione, in modo particolare quella giovanile, i misfatti dell’ottusità burocratica europea.
La Grecia, sempre presa come caso limite del meridione europeo, sotto lo schiaffo di un direttorio inflessibile, sta vivendo i giorni più tragici dal periodo della seconda guerra mondiale, quando, comunque, le autorità d’occupazione, fecero intervenire la croce rossa internazionale per salvare dalla denutrizione gli abitanti del Paese balcanico. Oggi, a giudicare da certe immagini e da certe informazioni, Atene è sotto la pioggia di indiscriminati licenziamenti, specie nel settore pubblico, gli ospedali non coprono le cure per coloro che hanno perduto il lavoro e le grandi multinazionali farmaceutiche non riforniscono di medicinali gli stessi nosocomi, nel timore di non poter recuperare il credito, tutto questo con il risultato di un aumento considerevole della morbilità e con l’abbassamento delle aspettative di vita.
La Grecia non è un Paese commissariato dalla “Troika”, è una nazione sottoposta a quella pulizia etnica di non lontana memoria in quelle terre oltre l’Adriatico, e gli artefici di questa pulizia non sono le milizie serbe, croate o bosniache, sono, invece, dei signori in giacca e cravatta che siedono ai vertici della finanza e che, da Bruxelles, decidono cosa imporre a quei governi a sovranità limitata. Questi padroni delle vite e delle anime, a loro volta, sono stati convinti dalle banche internazionali a sostenere il sistema, soccorrendo gli istituti prossimi al fallimento, anche se questi non rappresentavano, per dimensioni, un serio pericolo per l’economia continentale. Tutto questo è pesato sui bilanci, aggravando una situazione già compromessa, dunque, sempre sotto la spinta della triplice finanziaria i governi dell’Europa mediterranea hanno cominciato una vera e propria guerra contro i loro cittadini, reclamando una severa austerità, quasi i buchi di bilancio fossero determinati da un eccessivo dispendio per mantenere l’impalcatura delle garanzie sociali.
Su questa pressione, o meglio, diktat sotto il nome di “Trattato di stabilità”, con l’approvazione a maggioranza, senza alcuna discussione o riflessione, del nostro Parlamento, si è accettato un patto di sicura rovina, per noi e per le future generazioni. Nessuno degli addetti ai lavori ha voluto o potuto ricordare quel “Memorandum” sottoscritto dal Governo Ellenico, dove addirittura vengono stabilite le razioni alimentari per l’infanzia e le riduzioni di salario, intorno al 32%, da imporre nei contratti nazionali di lavoro. Insomma si è ratificata una carta di stabilità congegnata da Bruxelles, come un infallibile rimedio, per superare la stasi economica: al contrario, queste misure imposte ed accettate da una categoria di tecnici miopi e da una classe politica inesistente, hanno prodotto una recessione di incalcolabile gravità.
Soltanto gli illusi e gli animi semplici, i ridanciani ascoltatori delle barzellette di ieri e dei sogni visionari di oggi, possono credere alla rapida conclusione di questa crisi. Il “Colpo di Stato” c’è, è già stato effettuato, nell’ignavia più assoluta dei responsabili politici ed economici: il diktat che strangola l’Italia, imposto dalla “Troika finanziartedesca” prevede, allo scopo di ridurre il debito pubblico in vent’anni, un salasso fiscale di cinquanta miliardi di euro l’anno, ripetiamolo, per vent’anni. Qualora si riuscisse a far fronte a quanto sottoscritto, la miseria insanabile, scaturita da questa decisione, farà impallidire il ricordo delle miserie dell’ultimo conflitto mondiale.
Un referendum, lo dichiara il sociologo Gallino in una recente intervista al quotidiano “La Repubblica”, sarebbe stato necessario per decidere un impegno di questa portata. Ma il colpo di stato, una volta compiuto, non ha bisogno di popolari ratifiche. Anche questo voleva l’Europa?
Alessandro P. Benini – IL BORGHESE / consulpress.eu